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Favole sugli uccelli

Il Pavone - Leonardo

Il contadino partì, dopo aver chiuso la porta del cortile.
Sperava di ritornare presto, ma i giorni passavano senza che lui si facesse vedere.
Gli animali del cortile avevano fame e sete; perfino il gallo non cantava più.
Stavano tutti immobili, per non consumare le forze, sotto l'ombra di una pianta.
Soltanto il pavone, anche quel giorno, si levò barcollando sulle zampe, apri a ventaglio la sua grande e variopinta coda, e incominciò a passeggiare avanti e indietro.
- Mamma - domandò una magra gallinella alla chioccia - perché il pavone fa la ruota tutti i giorni? -
- Perché è vanesio, figlia mia; e l'ambizione è un vizio che scompare soltanto con la morte -.

Il cigno - Leonardo

Il cigno piegò il flessuoso collo verso l'acqua e si specchiò a lungo. Allora capi la ragione della sua stanchezza, e di quel freddo che gli attanagliava il corpo facendolo tremare come d'inverno: con assoluta certezza egli seppe che la sua ora era suonata e che bisognava prepararsi a morire.
Le sue piume erano ancora bianche come il primo giorno della sua vita. Era passato attraverso le stagioni e gli anni senza macchiare la sua veste immacolata; ora poteva anche andarsene, concludere in bellezza la sua vicenda.
Alzando il bel collo, si diresse lento e solenne sotto ad un salice, dov'era solito riposarsi durante la calura. Era già sera. Il tramonto tingeva di porpora e di viola l'acqua del lago.
E nel grande silenzio che già scendeva tutto intorno, il cigno incominciò a cantare.
Mai aveva trovato, prima di allora, accenti così pieni d'amore per tutta la natura, per la bellezza del cielo, dell'acqua e della terra. Il suo canto dolcissimo si sparse nell'aria, velato appena di nostalgia, finché piano piano si spense, insieme all'ultima luce dell'orizzonte.
- è il cigno - dissero commossi i pesci, gli uccelli, tutti gli animali del prato e del bosco - è il cigno che muore. -

I tordi e la civetta - Leonardo

- Siamo liberi! Siamo liberi! - gridarono un giorno i tordi, vedendo che l'uomo aveva catturato la civetta.
- Ora la civetta non ci fa più paura. Ora dormiremo tranquilli. -
La civetta, infatti, era caduta in un'imboscata, e l'uomo l'aveva rinchiusa in gabbia.
- Andiamo a vedere la civetta in prigione - dicevano i tordi volando e cantando intorno alla gabbia della loro avversaria.
Ma l'uomo aveva catturato la civetta con un altro scopo, ossia quello di prendere i tordi. Infatti, la civetta fece subito alleanza col suo vincitore il quale, dopo averla legata per una zampa, la metteva ogni giorno bene in mostra sopra un trespolo. I tordi, per vederla, si precipitavano sugli alberi vicini, dove l'uomo aveva nascosto le sue canne impaniate. E i tordi, anziché perdere la libertà come la civetta, perdevano la vita. Questa favola è detta per tutti quelli che si rallegrano quando qualcuno, che conta più di loro e su di loro, perde la libertà. Perché il vinto, quando è importante, diventa presto alleato o strumento del vincitore, mentre tutti quelli che, prima, dipendevano da lui, cadono sotto un nuovo padrone, e insieme alla libertà perdono, spesso, anche la vita.

Il testamento dell'aquila - Leonardo

Una vecchia aquila reale, che viveva da molti anni solitaria sopra un'altissima roccia, sentì che l'ora della morte era vicina. Con un grido possente chiamò i suoi figli che vivevano sulle rocce sottostanti, e quando furono tutti riuniti intorno a lei li guardò uno per uno e disse:
- Io vi ho nutriti ed allevati perché, fino da piccoli, siete stati capaci di guardare il sole. Ho lasciato morire di fame i vostri fratelli che non sopportavano la sua vista. Perciò voi siete degni di volare più in alto di tutti gli uccelli. Chi non vuol morire non si accosti mai al vostro nido. Tutti gli animali devono temervi, e voi non farete alcun male a chi vi rispetta, ma gli lascerete mangiare gli avanzi delle vostre prede.
Ora io sto per lasciarvi, ma non morirò qui nel mio nido. Volerò in alto, fin dove mi porteranno le ali; mi protenderò verso il sole come se dovessi andare da lui. I suoi raggi infuocati bruceranno le mie vecchie penne, precipiterò verso la terra, cadrò dentro l'acqua.
Ma da quell'acqua, per miracolo, rinascerò un'altra volta, ringiovanita, pronta a ricominciare una nuova esistenza. Così è la natura delle aquile, il nostro destino. -
Detto questo l'aquila reale spiccò il volo: maestosa e solenne ruotò intorno alla roccia dove stavano i suoi figli; poi, all'improvviso, puntò diritta verso l'alto, per bruciare nel sole le sue ali ormai stanche.

Il pellicano - Leonardo

Quando il pellicano partì per andare in cerca di cibo, un serpente, ben nascosto fra i rami, cominciò a muoversi verso il nido.
I piccoli dormivano, tranquilli.
Il serpente si avvicinò, e con un lampo malvagio negli occhi iniziò la strage. Un morso velenoso a ciascuno, e i poveretti passarono immediatamente dal sonno alla morte.
Soddisfatto il serpente ritornò nel suo nascondiglio, per godersi il ritorno del pellicano.
Infatti, di lì a poco, l'uccello ritornò.
Alla vista di quella strage incominciò a piangere, e il suo lamento era così disperato che tutti gli abitanti della foresta lo ascoltavano commossi. - Che senso ha ora la mia vita senza di voi? - diceva il povero padre guardando i suoi figli uccisi. - Voglio morire anch'io, come voi! - E col becco incominciò a lacerarsi il petto, proprio sopra il cuore. Il sangue sgorgava a fiotti dalla ferita, bagnando i piccoli uccisi dal serpente. Ma,' ad un tratto, il pellicano, ormai moribondo, trasalì. Il suo sangue caldo aveva reso la vita ai suoi figlioli; il suo amore li aveva resuscitati. E allora, felice, spirò.

Il cardellino - Leonardo

Quando ritornò nel nido, con un piccolo verme in bocca, il cardellino non trovò più i suoi figlioli. Qualcuno, durante la sua assenza, li aveva rubati.
Il cardellino incominciò a cercarli dappertutto, piangendo e gridando; tutta la selva risuonava dei suoi disperati richiami, ma nessuno gli rispondeva.
Un giorno un fringuello gli disse:
- Mi pare di aver visto i tuoi figlioli sulla casa del contadino. -
Il cardellino partì, pieno di speranza, e in breve tempo arrivò alla casa del contadino. Si posò sul tetto: non c'era nessuno. Scese sull'aia: era deserta.
Ma nell'alzare la testa vide una gabbia appesa fuori dalla finestra. I suoi figlioli erano li dentro, prigionieri. Quando lo videro, aggrappato alle stecche della gabbia, si misero a pigolare chiedendogli di portarli via; e lui cercò di rompere col becco e con le zampe le sbarre della prigione, ma invano.
Allora, con un gran pianto, li lasciò.
Il giorno dopo, il cardellino tornò di nuovo sulla gabbia dov'erano i suoi figli. Li guardò. Poi, attraverso le sbarre, li imboccò uno per uno, per l'ultima volta.
Infatti egli aveva portato alle sue creature il tortomalio, che era un'erba velenosa, e i piccoli uccellini morirono. - Meglio morti - disse - che perdere la libertà. -

Il falcone e l'anatra - Leonardo

Ogni volta che andava a caccia d'anatre, il nobile falcone si arrabbiava. Quelle anatre riuscivano quasi sempre a beffarlo, tuffandosi sott'acqua proprio all'ultimo momento, e restando sommerse più di quanto lui potesse rimanere sospeso in aria ad aspettarle.
Anche quella mattina il falcone decise di ritentare. Dopo aver fatto molte ruote ad ali aperte per studiare la situazione, e dopo aver bene individuato l'anatra da catturare, il nobile rapace piombò giù come un bolide. Ma l'anatra, più svelta, si tuffò a capofitto.
- Questa volta ti vengo dietro - gridò il falcone infuriato, e si tuffò anche lui.
L'anatra, vedendolo sott'acqua, fece un guizzo, risalì, spiegò le ali e si mise a volare. Il falcone, con le penne bagnate, non riuscì a prendere il volo.
Passandogli sopra, l'anatra gli disse:
- Addio, falcone! Io nel tuo cielo ci so stare, ma tu, nella mia acqua, affoghi! -

Il corvo malato - Esopo

Tempo fa un cucciolo di corvo assai vivace e irrequieto se ne andava a zonzo tutto il giorno sbirciando in faccende che non lo riguardavano. Ficcava il becco in ogni cosa e non perdeva l'occasione di fare scherzi o dispetti ad ogni animale.

Quel mattino però, la sua monelleria lo spinse a compiere ciò che non avrebbe mai dovuto fare. Si intrufolò infatti in una piccola casa situata al limitare del bosco e lesto, lesto rubò un bel pezzo di carne sistemato sul davanzale della finestra spalancata. Per sua sfortuna il contadino fece in tempo ad accorgersi del furto e, senza esitare, colpì il corvo con una pietra.

Ecco fatto! Il ladro fu colpito in pieno.Quel pezzo di carne gli costò caro!

Ferito e spaventato il corvetto se ne tornò al nido volando piano per il male, quindi si sdraiò sfinito tra le braccia della sua cara mamma. Questa, disperata per le condizioni del figliolo, scoppiò in lacrime sfogando la propria preoccupazione.

"Oh, mammina!" Disse il cucciolo "Prega il Signore per me affinché guarisca la mia ferita". La corva colma di tristezza rispose: "Povero piccolo mio, come puoi chiedere al Cielo un miracolo se non ti sei nemmeno pentito del male commesso?"

Solo in quel momento il corvetto comprese la sua colpa e giurò a se stesso di non rubare mai più in vita sua.

Fortunatamente la ferita riportata durante la scorribanda alla fattoria si rimarginò in fretta e il cucciolo riacquistò le forze.

Quando fu completamente guarito poté tornare a svolazzare tra gli alberi ma, ricordandosi della promessa fatta, da quel giorno non toccò più ciò che non gli apparteneva. Aveva imparato a sue spese il significato della parola "furto".

L'aquila e lo scarafaggio - Esopo

Un'aquila inseguiva una lepre per catturarla. Questa non sapeva come trovare aiuto; così, visto uno scarafaggio, il solo essere in cui il caso la fece imbattere, si diede a supplicarlo. Lo scarafaggio la rassicurò e, appena l'aquila gli si avvicinò, prese a scongiurarla perché non gli portasse via la povera lepre. Ma l'aquila non si curò di quel piccolo insetto nero e divorò la lepre proprio sotto i suoi occhi.
Memore dell'offesa, lo scarafaggio, da allora, prese a seguire l'aquila con costanza: osservava i luoghi dove quella faceva il nido e deponeva le uova; volava al nido, si posava sulle uova e le faceva rotolare provocandone la rottura.

Cacciata da tutti i luoghi, l'aquila un giorno si rivolse a Giove e lo pregò di procurarle un luogo sicuro, dove poter fare le sue covate. Giove le permise di deporre le uova nel proprio grembo. Ma lo scarafaggio ideò uno stratagemma: fece una pallottola di sterco, volò sopra il grembo di Giove e ve lo lasciò cadere.

Il dio, per liberarsi da quella sporcizia, si alzò in piedi con uno scatto e, senza rendersene conto, fece cadere a terra le uova. Da quel tempo, si dice che nella stagione in cui appaiono gli scarafaggi le aquile non facciano il nido.

Il Nibbio che voleva nitrire - Esopo

Il nibbio, durante il primo periodo della sua esistenza, aveva posseduto una voce, certo non bella, ma comunque acuta e decisa. Egli, però, era sempre stato nutrito da una incontenibile invidia di tutto e di tutti. Sapeva di essere imparentato con l'aquila, ma questo, invece di costituire un vanto, non faceva altro che alimentare la sua gelosia: capiva di essere inferiore e si rodeva dalla rabbia per questo. Invidiava gli uccelli variopinti come il pappagallo e il pavone, lodati e vezzeggiati da tutti. Inoltre, si mostrava sprezzante nei riguardi dell'usignolo, dicendo tra sé: "Sì, ha una bella vocetta ma é troppo delicata e romantica! Roba da donnicciole! Se devo cercare di migliorare la mia voce certamente non prenderò come esempio questo stupido uccello. Io voglio una voce forte, che si imponga sulle altre!"

Era un bel giorno di primavera. Il nibbio se ne stava tranquillamente appollaiato sopra un ramo di faggio, riparato dalle fresche fronde della pianta. Inaspettato, giunse un cavallo accaldato che, cercando un po' di refrigerio, andò a riposarsi all'ombra dell'albero. Sdraiandosi con l'intenzione di fare un sonnellino, l'equino, inavvertitamente si punse con un cardo spinoso e, dal dolore, lanciò un lungo e acutissimo nitrito.

"Oh, che meraviglia!" Esclamò il nibbio con entusiasmo. Questa é la voce che andrebbe bene per me: acuta, imponente e inconfondibile!"

Il nibbio cominciò da quel mattino, ad esercitarsi nell'imitazione di quel verso meraviglioso. Provò e riprovò scorticandosi la gola, ma inutilmente. Quando, dopo molti tentativi senza successo, si rassegnò a tornare alla sua voce originale, ebbe una brutta sorpresa: gli era sparita a furia di sforzarla! Cosi dovette accontentarsi di emettere un suono insignificante e rauco per tutta la vita!

Il nibbio e il serpente - Esopo

Un giovane serpentello se ne andava tranquillo strisciando fra una pietra e l'altra, godendosi i caldi raggi del primo sole primaverile. L'aria era tiepida e carica di un buon profumo di fiori e ogni animale si sentiva rasserenato da quel clima dolce. Il piccolo serpente si muoveva piano nel prato quando all'improvviso una spaventosa ombra si proiettò sul suo cammino. L'animale preoccupato alzò il testino per guardare da dove provenisse la macchia scura e solo allora scopri che un terribile nibbio stava puntando dritto dritto su di lui!

Il poverino non ebbe nemmeno il tempo di scappare perché in un lampo il volatile gli piombò addosso afferrandolo con il becco. Il serpente fu, così, sol levato in cielo da quel rapace che, senza avere pietà per le sue grida volò via il più velocemente possibile.

"Lasciami andare!" Implorava lo sfortunato animaletto "Non ti ho fatto niente!" Ma il nibbio non l'ascoltò neppure.

A quel punto il serpentello si rivoltò su se stesso e con un'abile mossa diede un morso al suo nemico. Finalmente il volatile colpito dal veleno della sua preda fu costretto ad aprire il becco liberando il serpente che cadde a terra senza farsi male Il nibbio invece, con la vista annebbiata e senza più forze a causa del morso velenoso, precipitò sul terreno a peso morto riportando parecchie ferite. Quando il volatile era ancora stordito, il serpentello gli si avvicinò e gli disse: "Ben ti sta! Io non volevo farti del male ma tu mi ci hai costretto e adesso ne paghi le conseguenze!"

Trascorsero due giorni interi prima che il nibbio potesse riprendere a volare ma, a partire da quella volta egli si tenne sempre ad una certa distanza da tutti i serpenti!

La cornacchia e la brocca - Esopo

Una cornacchia, mezza morta di sete, trovò una brocca che una volta era stata piena d'acqua. Ma quando infilò il becco nella brocca si accorse che vi era rimasto soltanto un po' d'acqua sul fondo. Provò e riprovò, ma inutilmente, e alla fine fu presa da disperazione.

Le venne un'idea e, preso un sasso, lo gettò nella brocca.

Poi prese un altro sasso e lo gettò nella brocca.

Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.

Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.

Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.

Ne prese un altro e gettò anche questo nella brocca.

Piano piano vide l'acqua salire verso di sé, e dopo aver gettati altri sassi riuscì a bere e a salvare la sua vita.

L'aquila e la civetta - La Fontaine

La civetta, quando vide schiudersi nel suo nido le uova, si sentì il cuore pieno di felicità e d'orgoglio:
- Quanto sono belli i miei cinque civettini! - pensava, guardandoli commossa con i suoi tondi occhi gialli. Chiunque li vedesse, resterebbe conquistato dalla loro grazia. Ma, ahimè, non posso sentirmi tranquilla, perché troppi nemici li insidiano. Ho timore soprattutto dell'aquila, che avvista dall'alto qualsiasi preda con il suo sguardo acutissimo.
Decise perciò di recarsi lei stessa dall'aquila, per supplicarla di risparmiare il suo nido.Distribuì equamente il cibo nei cinque beccuzzi spalancati dei suoi civettini, e, rivolto loro un ultimo sguardo affettuoso si diresse, con il cuore pieno d'inquietudine e di timore, al bosco di querce, in cui la superba aquila aveva il suo quartier generale. Udita la preghiera della civetta, l'aquila squadrò altera la povera madre e le rispose: - Le tue parole mi commuovono e perciò puoi stare tranquilla per tuoi civettini. Ma dimmi, come li riconoscerò?
- Oh, - disse la civetta - ciò ti sarà facilissimo. Sappi che non vi sono uccellini più belli di loro. Quando vedrai dei piccoli con gli occhioni dorati con meravigliose piume soffici, comprenderai subito che quelli sono i miei figli.
Un giorno l'aquila, volando in cerca di preda, giunse al nido della civetta, mentre questa era lontana. Vi gettò uno sguardo e vide cinque uccellini grigiastri che giudicò assai brutti e sgraziati.
- Questi non sono certo i civettini - pensò - dei quali mi è stata decantata la famosa bellezza. Li ghermì tra gli artigli e li portò ai suoi aquilotti.
Con quanto strazio la povera civetta trovò al ritorno il suo nido devastato.

Il Corvo e i suoi piccoli - Tolstoj

Un corvo aveva fatto il nido , in un'isola. Quando gli nacquero i piccini, pensò che sarebbe stato meglio trasportarli sulla terraferma. Prese tra gli. artigli il figlio più piccolo e si staccò dall'isola volando sopra lo stretto.
Quando giunse in mezzo al mare, si sentì molto stanco: le sue ali battevano l'aria sempre più lente. "Oggi io sono grande e forte e porto mio figlio sul mare perché mio figlio è debole" pensava il corvo " quando esso sarà cresciuto e sarà diventato forte, mentre io sarò debole e vecchio, chissà se mi ricompenserà delle fatiche che io sostengo oggi e se mi trasporterà come io faccio, da un luogo all'altro ".
Il corvo decise allora di accertarsi subito e chiese al suo piccolo:
- Quando tu sarai forte e io sarò vecchio e debole, mi aiuterai come faccio io ora con te? Mi trasporterai da un luogo all'altro? Dimmi la verità…. Il piccolo corvo vide in basso il mare e, temendo che il padre lo lasciasse cadere, si affrettò a rispondere:
- Si, sì, ti aiuterò, ti trasporterò -.

La formica e la colomba - Tolstoj

Una formica era assetata e sì avvicinò alla riva di un ruscello. Un'onda la investì e la fece cadere nell'acqua. Una colomba, che passava portando un ramoscello nel becco, vide la formica in pericolo e le lanciò il ramoscello. La formica vi si aggrappò e fu salva. Qualche tempo dopo, un cacciatore stava per catturare la colomba nella sua rete. La formica gli si accostò e gli morse una gamba. Il cacciatore sussultò e si lasciò sfuggire la rete dalle mani. La colomba aprì le ali e volò via.

Il corvo e il piccione - Tolstoj

Un corvo osservò che i piccioni vivono comodamente e sono ben nutriti perché l'uomo pensa a dar loro da mangiare. Si tinse le penne di bianco e penetrò in una piccionaia. Dapprima i piccioni credettero che egli fosse uno di loro e lo lasciarono entrare ma il corvo si dimenticò per un attimo del suo travestimento e gracchiò come un vero corvo.

Allora i piccioni lo beccarono e lo buttarono fuori. Ritornò dai corvi, ma questi, spaventati dalle sue penne bianche, lo cacciarono via, come avevano fatto i piccioni.

Il falco e il gallo - Tolstoj

Un falco, addestrato dal suo padrone, quando costui lo chiamava, veniva a posarsi sul suo pugno.

Il gallo invece, all'avvicinarsi del padrone, strillava e fuggiva spaventato.

Disse il falco al gallo: - Voi galli siete servi ingrati. Correte dai vostri padroni soltanto quando avete fame. Noi, invece, uccelli selvatici, siamo ben diversi: siamo più forti e più veloci e non fuggiamo quando gli uomini s'avvicinano. E se ci chiamano, corriamo e ci posiamo sul loro pugno. Non dimentichiamo ch'essi ci danno da mangiare -.

Rispose il gallo: - Se voi non fuggite all'avvicinarsi dell'uomo, è perché non avete mai visto il falco allo spiedo, mentre noi non vediamo che polli arrosto -.

Il passero - Turghenieff

Venivo dalla caccia e camminavo per il viale del mio giardino; il mio cane correva dinnanzi a me.

Improvvisamente vidi un piccolo passerotto che era caduto dal nido e pigolava lamentosamente.

Il cane si avvicinò ma improvvisamente un vecchio passero cadde come una pietra proprio davanti al cane e con un grido disperato saltò verso quel muso spalancato : si era precipitato nonostante il suo terrore per salvare il suo piccolo, una forza più possente della sua volontà lo aveva precipitato abbasso.

Il cane si fermò, pure lui aveva riconosciuto questa forza.

Mi affrettai a richiamarlo, colpito da ammirazione per questo piccolo eroe.