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Il Corvo e l'Arca, la vera storia

L'eretico è colui che ha un libero pensiero

Autore: Akela il Solitario

corvo

Era da giorni che un umano barbuto e non nel pieno della sua gioventù martellava, segava e piallava. Sembrava stesse costruendo una grossa imbarcazione, a giudicare dall'enorme numero di alberi abbattuti per ricavarne legno.
Quando si trovava a passare di lì, il corvo si posava su un qualche ramo a osservare la scena. Si chiedeva come era possibile che ad un uomo venisse in testa di costruire un barcone a così tanta distanza dal mare. A chiederselo dovevano essere anche diversi altri umani che di tanto in tanto passavano di lì, per poi andare via ridendo.
L'uomo lavorava come un invasato, ogni giorno fino allo stremo delle forze.
Il pennuto nero non era certo un amante dei rompicapo, e quindi si limitava ad osservare l'insolita scena, senza troppi interrogativi.
Passò un pò di tempo, intanto la barca iniziava a prendere forma e tra gli animali iniziarono a circolare strane voci. Pare ci fosse in certo Dio, che era lui ad aver creato tutto, che era l'essenza della bontà, e ogni creatura ci fosse una fetta di questa sua essenza. E pare che fosse stato proprio questo Dio a commissionare all'umano barbuto il barcone.
Al corvo non è che interessasse tanto tutta questa storia, viveva bene prima di saperla, e dopo averla appresa nulla era cambiato e dunque cose del genere non meritano troppe attenzioni per un corvo.
Passò ancora del tempo, e altre strane storia furono al centro delle discussioni degli animali. Il falco per primo, avvertì un'imminente pioggia, molto più intensa del normale che avrebbe inondato tutto.
La volpe con la sua arguzia trovò dunque la risposta all'enigma del barcone. Era dunque un mezzo di salvezza dall'alluvione.
Il corvo che come detto non amava scervellarsi era però un tipo che aveva sempre da dire la sua, e che in tutto riusciva a trovare il pelo nell'uovo. Si chiese allora perché questo Dio dava possibilità di salvezza a quell'uomo, e non anche ad altri.
La cosa era a dir poco inequa. Quel tipo non era certo l'unico essere vivente al mondo. Ancora più assurdo era che questo Dio di bontà, che tutto ha creato (da quel che raccontano) in tutta la sua misericordia riuscisse a preoccuparsi di un solo essere.
Tutta questa storia non gli piaceva affatto, ed ora, quando volava dalle parti del barcone non si fermava come in precedenza ad osservare incuriosito ma esprimeva il suo parere con forti e disprezzanti gracchi.

Il giorno che il corvo ricevette la chiamata si trovava posato su un ramo ad osservare i molti strani animali che da qualche giorno stavano confluendo verso il barcone.
Qualcuno gli parlava nella testa, con dolci parole venne invitato ad entrare nell'"arca", nome del barcone. Gli fu detto che grazie a quella enorme scialuppa il suo popolo avrebbe trovato salvezza dal grande diluvio incombente.
Il corvo dovette a questo punto ricredersi, aveva tratto troppo in fretta le sue conclusioni, ma questa era una sua immutabile peculiarità.
Volò nell'"arca" al cui interno era contenuta una varietà incredibile di bestie, due di ogni tipo.
La voce nella testa gli indicò lo scomparto a lui destinato, nel quale vi era una pergola sulla quale si posò.
Era stato il primo tra quelli del suo popolo a prendere posto nell'arca, gli toccava attendere gli altri.
La noiosa attesa durò molto, alla fine arrivò solo una corva che mai aveva visto in vita sua, poi passò l'umano e chiuse lo scomparto. Di altri corvi nemmeno l'ombra, o il gracchio. Possibile? Sentì il suono del ponte della barca che si alzava e poi che si chiudeva, e qualche istante dopo un forte scroscio di pioggia.
Chiese alla corva se sapeva che fine avessero fatto gli altri. Lei lo guardò stupita e poi gli spiegò che gli altri non erano nell'arca, loro due erano stati scelti affinché portassero avanti la specie.
Gli uomini avevano peccato troppo, e deluso Dio e quindi meritavano una punizione quale il diluvio che li avrebbe uccisi tutti. Dopo aver sradicato la specie umana dal mondo l'uomo con la barba e la sua famiglia avrebbero ripopolato tutto, proprio come tutte le coppie di animali a bordo.
Il corvo ebbe un colpo e rimase a becco aperto senza proferire parola. Non doveva affatto ricredersi di nulla, tutto era mostruosamente assurdo, sadico e ingiusto e non riusciva a credervi.
Dio puniva gli uomini portando sofferenza e morte anche a tutto il regno animale totalmente estraneo e innocente riguardo a tutta questa faccenda. E questo era il dio della bontà? Il dio la cui essenza di gentilezza risiedeva in ogni essere? Evidentemente questo dio non era certo dentro di lui, perché lui proprio non capiva il suo sadico operare, e se questa era la sua bontà, questa non risiedeva di sicuro nel corvo. Se avesse saputo prima, non sarebbe mai salito su quell'arca ma avrebbe detto la sua alla voce nella testa. Odiò con tutto il profondo quella barca. Gli altri animali sembravano avere accettato la situazione, seppur a malincuore, ma lui no.
I giorni passarono lunghi e incolmabili, durante i quali mai li abbandonò il costante rumore della pioggia battente sullo scafo. Ogni ticchettio di pioggia accresceva il disgusto del corvo per quella barca, per l'uomo barbuto e per quel dio sadico. Non desiderava altro che fuggire via da lì, pioggia o no.

Dopo tanto tempo, quasi fosse un rumore assordante, il silenzio proveniente dall'esterno rimbombò all'interno dell'arca come una martellata sull'incudine.
Tutti rimasero in silenzio per parecchi minuti, poi pian piano tutto si rianimò. Qualche istante dopo comparve l'uomo con la barba.
L'ironia della sorte volle che fosse proprio il corvo ad essere scelto dall'umano; scelta ponderata mal interpretando l'agitatezza e gli atteggiamenti da dissidente, evidentemente visti come sinonimo di vigore e di buona salute.
Al corvo fu assegnato un compito vitale: doveva portare all'umano una testimonianza della terraferma, che si sperava stesse iniziando a riemergere dall'alluvione.
L'uccello venne portato sul ponte, e mentre il barbuto lo istruiva sulla missione lui scivolò via dalle sue mani e volò lontano, infischiandosene del compito a lui assegnato, non era in debito di alcun favore.
Il corvo volò via alla vana ricerca dei suoi compari, un pò in colpa per essere salito su quella scialuppa di salvataggio lasciando i suoi amici, anche se totalmente ignaro dei tragici risvolti.

L'uomo con la barba non vide mai più tornare il corvo.
Poco tempo dopo una colomba portò a termine il compito in principio assegnato al corvo, portando come prova della terra un ramoscello d'ulivo. In seguito il corvo seppe di essere stato maledetto, che la sua stirpe avrebbe vissuto di carogne e via dicendo, ma questa era una di quelle cose che non meritavano la sua attenzione.
La stirpe dei corvi proliferò, ed ancora oggi vive e prospera, non ha quasi predatori e l'uomo ne disprezza le carni, al contrario della diligente colomba.