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La storia di Akela

Questa è la storia del mio Aky.

Autore: AkyAky

Akela

Tenetevi forte, non ho mai avuto modo di raccontarla bene, quindi temo che mi dilungherò un po', purtroppo è sempre stato un mi difetto non riuscire a sintetizzare le cose, e sintetizzare questa storia per me sarebbe un po' come deturparla... perché è talmente bella da sembrare venuta fuori da un libro di fiabe, anche se è tutto verissimo...

Da dove comincio? Potrei cominciare da un vecchio filmato che ho a casa. A dirla tutta è un filmato orrendo...e io lo guardo pochissime volte, in più è ancora su una vecchia videocassetta (la tecnologia non è il mio forte...). In questo filmato compaiono un luogo che sembra l'anticamera dell'Inferno, un esorbitante numero di cani maltrattati nei modi più svariati e un tizio che non so come definire (o meglio,che so come definire ma che preferisco rimanga indefinito). In quel posto ci sono alcune roulottes, non tantissime per la verità, un soprannumero di catene, condizioni igieniche pressocchè disastrose (l'improvvisato cameraman si sofferma a lungo sullo stato indescrivibile del lavandino). Ci sono alcune pecore, ma per la verità questo posto è popolato da cani... centinaia di cani, cani ovunque... rinchiusi senza cibo, luce o acqua nelle roulottes, incatenati sotto le roulottes, legati a cortissime catene attaccate ad alberi, sotto il sole, senza un goccio d'acqua,alcuni hanno collari talmente stretti che gli si conficcano nella pelle del collo, alcuni sono completamente ricoperti di rogna, la magrezza di tutti è ai limiti della sopravvivenza, alcuni sono chiaramente in fin di vita. Ci sono dei ragazzi che fanno di tutto per mostrare le condizioni dei cani: aprono le finestre delle roulottes, indicano le ferite, dispensano cibo e carezze, mostrano i cumuli di escrementi nei quali gli animali con la catena corta sono costretti a essere immersi. E poi ogni tanto compare questo tizio, questo mostro, che parla ai ragazzi impartendo ordini e riempie di calci e ingiurie le povere bestie. Il cameraman riesce a rubare un primo piano di questo essere che non riesco ancora a definire uomo, e nemmeno la parola mostro gli si adatta troppo. Per il resto le scene in cui compare lui sono purtroppo confuse, immagino per evitare che qualcuno si accorga della presenza di una telecamera. Ma la voce si sente benissimo, nonostante il continuo abbaiare dei cani sia assordante, e il bastone che brandisce parla chiaro. La scena più brutta si svolge all'interno di una roulotte dove c'è una cagnetta con i suoi cuccioli. La cagnetta cerca di uscire, o di spostarsi, non si capisce bene: partono botte a raffica, unite alle urla del mostro, che la chiama ripetutamente "puttana".

A un certo punto, la telecamera riprende il boschetto circostante...si intravedono tre cani uscire da un sentiero. C'è un rapido zoom ed è possibile vedere una femmina di incrocio pastore bergamasco seguita da un cucciolone magro con le zampe grosse, completamente nero, e da un golden retriever enorme. I tre rimangono con le orecchie dritte per un po', indecisi...poi scappano verso il bosco. Il cane nero è il mio Akela.

Che era successo? è presto detto. Quello che io ho due volte chiamato mostro, e che spesso ho sentito chiamare "pastore" a causa della presenza delle pecore, viveva in quelle roulottes su un terreno di proprietà del comune e si era messo a raccogliere cani abbandonati. Stando a numerose testimonianze lo faceva perché, con tutti quei cani, per il comune era praticamente impossibile sfrattarlo... sto parlando infatti di centinaia di cani, in uno spazio davvero ristretto...più ne aveva, più gliene arrivavano: se lui era un mostro, c'erano in giro tantissimi altri piccoli mostri che non potendo o non volendo tenere il proprio cane, glielo portavano. Lui non rifiutava mai di tenerli. Il comune aveva un canile, ovviamente saturo. In un certo senso, il "pastore" faceva comodo. Ovviamente purtroppo i cani in quelle condizioni non sopravvivevano molto...non è stato calcolato quanti ne sono morti, ma si racconta (non ho verificato) che scavando nei dintorni si possono ancora trovare le ossa di quegli innocenti che in quell'inferno ci hanno lasciato la pelle. Il "pastore" aveva l'accortezza di non eliminare le cucciolate... in quel filmato si vedeva chiaramente come la madre fosse tenuta segregata con loro perché li allattasse. Era anche successa questa cosa abbastanza singolare.. alcuni cani erano riusciti a scappare da quel posto e avevano cominciato a vivere, liberi, nel boschetto circostante, formando un piccolo branco che si avvicinava al posto dove viveva il "pastore" soltanto per rubare da mangiare, e per questo erano spessissimo generosamente bastonati. Akela è figlio di quei cani, di questo si ha quasi la certezza. Nel filmato infatti non è altro che un cucciolo, non avrebbe potuto scappare da solo dall'aguzzino, e aveva un legame molto forte con la femmina di pastore bergamasco, battezzata in seguito Ariel, la quale aveva visibilmente allattato, secondo certe testimonianze. E' dunque estremamente probabile che il mio cane sia l'unico sopravvissuto di una cucciolata venuta al mondo in quel bosco; non so dire, invece, se i suoi genitori erano scappati da quel luogo o se loro stessi erano figli di cani fuggiti. Udite udite, che gli allevatori e i comportamentalisti inorridiscano: qui, accucciato ai miei piedi, non solo c'è un cane che non ha avuto alcun tipo di imprinting nei primi mesi di vita, i più delicati; ma addirittura ha avuto un imprinting assolutamente negativo con l'uomo, e il binomio cibo-bastonate è impresso nella sua mente in maniera ormai indelebile purtroppo.

Stiamo parlando del 1997, così riporta la data del filmato che ho conservato. Sembrava che nessuno volesse sapere di quel postaccio, che tutti se ne strafregassero... ma un giorno,una persona normalissima, dalla cima di un alto condominio vide quello che succedeva in quello spazio, che era a cielo aperto ma circondato sapientemente da una altissima recinzione. Con l'aiuto di un binocolo assistette alle scene. Faceva parte di un'associazione che non nominerò, ma è una delle associazioni animaliste più conosciute. Ha presentato il problema ai soci, ma per motivi che non posso immaginare la maggioranza di loro ha sottovalutato la cosa. Allora un gruppo, un piccolissimo gruppo di persone, si è disiscritto e ha cominciato ad occuparsi del problema. Ovviamente il "pastore" era reticente all'idea di fare entrare degli sconosciuti nel suo regno... ma dopo un po' di insistenze, portando cibo per cani e denaro, i nostri sono riusciti ad entrare. A questo punto gli si è presentato davanti uno spettacolo che, a detta di tutti, era molto peggio di quello che posso vedere nel mio filmato...i volontari cercarono di migliorare un po' le condizioni dei cani e poi decisero di nascondersi addosso delle telecamere...quello che ho io è solo uno dei tanti filmati che sono stati realizzati.

Riuscirono nel loro intento: il comune allontanò il "pastore", la storia venne pubblicata su giornali locali...sempre il comune assegnò ai volontari "in eredità" il luogo del terrore e i cani che erano rimasti lì dentro, circa trecento... e assegnò loro il compito di affidarli in pochi anni, perché il terreno serviva per il polo fieristico che stava per essere costruito (veramente questo terreno è ancora oggi inutilizzato). Una volta costruite delle specie di gabbie con materiali di recupero, i volontari cercarono di recuperare anche i cani selvatici che si trovavano nel bosco. Alcuni si lasciarono catturare...altri sparirono (il golden retriever non è stato più visto)...altri ancora (Akela e Ariel) tenevano duro. Per prendere questi due cani è stato necessario sedarli.

Mi hanno raccontato che Akela è stato chiamato così appunto perché era l'ultimo maschio del "branco" ad essere catturato, e qualcuno lo aveva immaginato come "capo" del piccolo branco...in realtà lui era solo un cucciolo, il capo "vero" era ovviamente la femmina . Inoltre ho saputo che i primi giorni di gabbia sono stati per quello che sarebbe diventato il mio cane molto ma molto difficili, e che lui mostrava parecchi segni di aggressività. Akela aveva quell'imprinting negativo con l'uomo che non gli permetteva di fidarsi degli esseri a due gambe; ma a causa della inevitabile selezione severissima di quell'inferno, era anche un cane dall'intelligenza straordinaria, era fisicamente molto forte e possedeva, cosa più importante di tutte, un' incredibile capacità di adattamento. Passato il primo periodo, Akela divenne decisamente mansueto anche con gli esseri umani. Ovviamente questo è uno solo dei tanti piccoli miracoli compiuti dall'amore senza confini dei volontari...ma non significava affatto che Akela riuscisse a instaurare con loro un rapporto normale, come tutti gli altri cani... tutti i cani, proprio tutti, anche se maltrattati all'infinito credono negli esseri umani, e sono disposti a dare loro una seconda possibilità. Magari non subito, magari solo a una persona che scelgono con cura...magari, purtroppo, solo per poco tempo. Ma la fiducia negli umani sono sempre capaci di ritrovarla. Akela no, per lui non era così...lui tollerava quegli strani esseri a due gambe, si fidava di loro perché doveva farlo, ma non poteva "amarli", non facevano parte del suo branco mentale insomma. Era sempre pronto all'eventualità che qualcuno tirasse fuori un bastone.

Siamo nel 1999...quell'anno ha determinato una svolta incredibile nella mia vita (vado a "il bivio"??? ). Amavo i cavalli, andavo a cavallo da tempo. Senza scendere nei particolari, un giorno ho fatto una bruttissima caduta. Ovviamente mia madre mi ha proibito di vedere un cavallo per il resto della mia vita (sèèèèèèèè ). Un giorno trovo un volantino di quelli da buttare. Parla di adottare un cane a distanza. L'idea mi piace, e anche se i cani mordono riesco a ottenere il permesso di iniziare a fare volontariato...quando arrivo al rifugio improvvisato da quei volontari di cui vi ho parlato all'inizio era già successo il miracolo. Per merito dei giornali, di alcune apparizioni televisive, della sensibilizzazione continua nei confronti della gente della mia città e dintorni, i cani che erano rimasti erano... sei. Sei, su trecento e passa. Un vero miracolo. Non potrò mai dimenticare quei primi sei amici coi quali ho iniziato l'avventura che mi avrebbe portata alla facoltà di veterinaria...mi sono avvicinata timidamente, non sapevo nulla sui cani, mi hanno insegnato tutto loro sei... ma la prima volta che ho fatto il giro per vederli alla terza gabbia ho avuto un brivido. Un brivido, la pelle d'oca insomma. Una ragazza gentile mi stava presentando i cani. Appena lei appoggiava la mano sulle sbarre della gabbia, tutti correvano a leccargliela... tenerissimi...ma in quella terza gabbia, solo la femmina si avvicinò alla mano. Sono rimasta per qualche secondo a guardare incantata quel lupo (lupo, sì, ho proprio pensato: lupo ) che se ne stava in un angolo. Era completamente nero, aveva il pelo, lucidissimo nonostante i cani da canile non siano mai propriamente puliti. Il suo mantello serico brillava nell'ombra, il suo sguardo fiero ma al tempo stesso diffidente nei miei confronti non si perdeva ogni mio minimo movimento.

"Lui è Akela" disse la ragazza "Non avere paura, non fa niente."

Paura?? No, che paura... ero immobilizzata, ma era un'altra la sensazione che si era impossessata di me... era una sensazione indefinibile, che non avrei provato più nella vita. Ma per definirla mi sono dovuta inventare qualcosa, e allora dico sempre che era simile alla nostalgia...ma solo simile...perché era simile anche a quello che si prova quando ritrovi una cosa che ti era cara nella tua infanzia, della quale ti eri completamente dimenticato...tho, dici a te stesso, mi piaceva così tanto questa cosa, come ho fatto, crescendo, a dimenticarmela?...ed era simile anche a quando cerchi di ricordarti le parole di una vecchia canzone, e ti scappa una frase, e stai lì a pensarci tantissimo ma non te la ricordi, e poi proprio mentre non ci pensi ti balza in testa...ecco, ho provato tutte e tre queste sensazioni, e forse pure qualcos'altro, io, quando ho visto per la prima volta il mio Akela. Vite precedenti? Non so se crederci, ma ogni tanto ci penso. Comunque sia, era destino, al destino ci credo eccome. Ecco che il destino mi fa esclamare, davanti a quella ragazza:

"Se fossi qui per prendere un cane sceglierei quello"

"Bhè"fa lei, in effetti è uno dei più belli."

Ma no, non era così, non era solo bello. Era stupefacente, ma non per la sua bellezza. Per la sua fierezza, per la sua nobiltà...lui era lì, sporco, in quella che sembrava la caricatura di un canile(le gabbie, lo ricordo, erano fatte con materiali di recupero), era a terra praticamente, e nonostante tutto sembrava pulitissimo e fiero come un cane di razza a un concorso. O meglio, come una tigre in una stretta gabbia da zoo.

E dentro a quegli occhi freddi da lupo si poteva vedere non solo che aveva sofferto molto ma che non te l'avrebbe mai confidato, perché lui a differenza degli altri cani non aveva bisogno degli esseri umani, ma anche che doveva avere, sotto sotto, una natura molto dolce...quegli occhi neri così profondi, così grandi, così "femminili"... non potevano non essere dolci.

"E' proprio uno dei più belli. Vedrai che sarà adottato presto".

Io adottai a distanza una cagnetta incredibilmente tigrata che avevano chiamato Shere Kane (fantasia portami via...), e poi mi legai molto al cane mordace della situazione, il mio piccolo Rud. Ma Akela lo avevo in testa sempre.

La ragazza aveva ragione, Akela venne adottato prestissimo. Una volta, due, tre, quattro...ho perso il conto. Succedeva sempre così: o Akela scappava durante la prima notte senza che nessuno se ne accorgesse evadendo in maniera quasi magica e rimaterializzandosi davanti al cancello scalcinato del rifugio (Lassie è NIENTE in confronto a ciò che sanno fare i cani veri) o addirittura davanti alla sua gabbia o, le volte che veniva adottato in appartamento, il giorno dopo i suoi nuovi padroni si materializzavano con lui davanti al cancello scalcinato del rifugio. Lo riportavano indietro, come si fa con un oggetto acquistato e difettoso... succede spesso, purtroppo, nei canili. E Akela era difettoso. Non era un cane normale.

"Non da' affetto" erano le tre parole che accompagnavano i suoi ritorni. Parole che mi rimbombavano in testa come proiettili, mi sarebbe tanto piaciuto rispondere a tono . Bhè, Akela con un eufemismo veniva spesso definito "indipendente". La verità è che lui il suo affetto non lo regalava a vagonate come gli altri cani, non a degli emeriti sconosciuti poi. Aveva paura, certo, aveva paura degli esseri umani, ma non era solo questo: lui era l'unico cane a vederli come erano davvero, dei perfetti estranei rispetto alla sua specie!non potendo fidarsi di loro, come avrebbe potuto dare loro affetto? E come dargli torto, soprattutto??? Entravo nella sua gabbia, me lo stringevo e me lo coccolavo come fosse stato un cucciolo. Che esseri crudeli, come si può pretendere da un lupo l'affetto tipico di un cane, e dopo una sola notte???facevo ancora il liceo e i professori mi torturavano col greco e il latino, e allora io gli parlavo e gli recitavo quei versi di Saffo che ora non ricordo quasi più, che dicono più o meno: "Sei come una rossa mela che alta rosseggia sul ramo più alto...ma non l'hanno vista i coglitori? Sì, l'hanno vista, ma non hanno saputo raggiungerla...". Sì, bhè, lo so che sono scema , ma io così facevo. E secondo me la parte più profonda del suo cuore capiva quelle parole. Akela affetto veramente non ne dava nemmeno a me, era fatto in un modo che sembrava sopportare coccole e attenzioni. Ma non era così, a lui le coccole piacevano, vecchio furbone, solo che non era bravo nel chiederne, e nel darne. In compenso, il suo rapporto con i cani suoi simili era a dir poco fantastico. Akela era un cane equilibratissimo, con qualunque compagno di gabbia, anche con i maschi. Quando doveva sottomettersi lo faceva, senza alcun problema, e si lasciava guidare dal dominante. Quando invece era il nuovo venuto a sottomettersi, lui ricopriva il ruolo di capo nel migliore dei modi. In questo caso era il primo a mangiare, ma si accertava sempre che le femmine o gli eventuali cuccioli mangiassero a sufficienza. Una volta l'ho visto aggredire un suo sottoposto: questo perché questo secondo cane continuava a mordere un terzo, che aveva assunto posizione di sottomissione. Era un capo che non tollerava le ingiustizie, quando era capo.

Io e lui siamo diventati un binomio inscindibile ben presto...come facevo a non adorarlo, il mio lupo? Abbiamo più volte partecipato a sfilate di beneficenza...allora mi prendevo cura del suo splendido mantello, e lui sfilate ne ha fatte così tante e spessissimo ci piazzavamo bene. Altre volte facevamo solo la sfilata dei cercafamiglia, e magari la famiglia la trovavamo...ma finiva sempre male. Quello che è certo è che io non sono assolutamente il tipo ma lui è nato per fare sfilate. E' bellissimo e sa di esserlo. Ha un portamento fiero e orgoglioso, a volte sembrava che gli avessi insegnato a "piazzarsi". Più di una volta mi è stato chiesto di che razza era e dove l'avevo comprato! Ma no, era un meticcio, meticcio da generazioni, provenienza canile e pure disponibile gratuitamente. Ma niente.

Riassumendo, Akela ha passato il suo primo anno di vita, più o meno, libero nel bosco; poi si è sparato la bellezza di otto anni di canile ininterrotti. Otto. Oramai facevo veterinaria e il greco e il latino me li scordavo (non che li rimpianga troppo), ma continuavo a stringerlo e anche se Saffo non la sapevo più gli canticchiavo qualche canzone. Il suo bel pelo nero ora non era più così tanto nero...in certi punti appariva argentato (meraviglioso, ugualmente); il suo muso oramai era bianco, e negli occhi cominciava a formarsi quella sfumatura color della notte che copre come un velo di seta gli occhi dei cani anziani, quasi ad indicarci che ciò che dovevano vedere lo hanno visto, ed ora il mondo a loro può apparire sfumato, perché tanto ormai ne hanno scoperto il senso... (d'accordo! La veterinaria sconfigge la poetessa, e va bene. Si chiama nucleosclerosi senile, volgarmente definita cataratta senile, ma io preferisco velo della notte). Il mio Akela era nell'autunno della sua vita, si approssimava al tramonto...e la cosa che faceva male era che non aveva affatto scoperto il senso della sua esistenza, non era mai stato felice, non sapeva ancora cosa voleva dire essere un cane...perché lui è un cane, anche se dico che è un lupo...e, soprattutto gli avevano tolto per moltissimi anni una cosa che per lui doveva essere stata incredibilmente importante...molto più importante di quanto lo sia per molti cani...la libertà.

I miei genitori, capitanati da mia madre , non volevano saperne assolutamente di cani in casa. Ma per uno strano gioco del destino, per una serie di coincidenze assurde (astrali???) mio papà realizzò il sogno della sua vita comprandosi una casa con giardino. Tutta da ristrutturare... ma una volta ristrutturata mia madre non avrebbe potuto opporsi alla presenza del cane.

Non vedevo l'ora, e pregavo perché Akela...insomma, perché Akela rimanesse vivo e vegeto fino a quel giorno... ecco sì, Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita, ma purtroppo non è una cosa rara che gli angeli o chi per loro si vengano a prendere i cani quando sono a un passo dalla felicità...ma non vennero gli angeli, no. Venne una bambina, un diavoletto. E scelse Akela. Ovviamente io non potevo oppormi alla cosa, né volevo farlo...Akela poteva essere felice prima del previsto, sarebbe stato da egoisti impedirglielo. Ma quella bambina era davvero un diavoletto, nei cinque minuti dell'adozione gliene ha fatte tante ma tante che l'avrei presa a sberle. Non si tratta un lupo in questa maniera...comunque la mamma pareva ragionevole, speravo che col tempo riuscisse a presentarle quello sconosciuto che si chiama Rispetto Per La Vita, un tizio che davvero sono in pochi ad averlo incontrato e ad averci fatto quattro chiacchiere, quanto basta per conoscerlo un po'. Però non lo nego, quando la macchina è partita ho pianto. Io sono una piagnona, ma piango da sola. Non piango MAI in pubblico, qualunque cosa accada. Akela è riuscito a farmi piangere in pubblico.

Tra l'altro inutilmente, dal momento che la mattina dopo si erano tutti rimaterializzati davanti al cancello. Akela non era stato accettato dal gatto di casa . Veramente ho pensato che fosse una scusa...adesso che lo conosco meglio so che non lo è. Akela le prende dai gatti...e tanto. No, perché a lui piacciono, vuole per forza annusarli, e li rincorre, e vuol giocarci (secondo me pensa che siano cani...)...e le prende.

Tornando a noi, ero a un passo dall'adozione ormai... ho incominciato col portarlo a casa il fine settimana. Questo per rendere meno traumatico questo incredibile cambiamento che sarebbe avvenuto presto nella sua vita, ma anche per rendere meno traumatico per i miei genitori l'impatto con un "cane", un essere vivente diverso da un essere umano, un essere vivente che non era confinato in una gabbia, un essere che respirava e che era in grado di compiere gesti volontari quali muoversi all'interno di una stanza, decidere di bere, guardare fuori dalla finestra...cose del genere.

Durante quelle brevi visite io ero felicissima...mi prendevo cura di lui continuamente, lo sommergevo di coccole ed attenzioni, lo ripulivo accuratamente...era bellissimo , era bellissimo avere un cane in casa. Ed era terribile riportarlo la sera. Veramente lui non soffriva affatto per questa cosa... si comportava come se si trattasse di una gita, e poi era ben felice di ritornare al suo branco originario. In casa mia si comportava come il cane perfetto che tutti vorrebbero avere...mai una pipì, mai uno sgarro, sembrava desiderare soltanto una copertina sulla quale rilassarsi per un giorno lontano dallo stress del canile...era curioso, ma esplorava in maniera discreta, imparando presto a non spaventarsi per quegli strani oggetti che producevano rumori o per quella manopola che se girava faceva uscire acqua da un tubo...inoltre imparò a fare le scale senza paura, e successivamente riuscì anche a non avere paura dei miei genitori. Ancora in un periodi successivo, affrontò coraggiosamente la sua paura per i bastoni e simili, rimanendo fermo ma comunque attentissimo se qualcuno maneggiava in casa oggetti simili a scope; ma non riuscì mai, mai a mangiare, qualunque cosa gli venisse offerta. Nutrirsi era la sua paura più grande...

Il giorno dell'adozione cadde in un periodo decisamente difficile della mia vita.....il più difficile in assoluto non credo di riuscire a parlarne in maniera diffusa, (è decisamente problematico perché c'entra un argomento che è per me ancora molto delicato...il cibo, l'essere vegetariani, vegani, il mio non essere nessuna delle due cose ma forse scrivendo cercherò di rendere l'idea.....probailmente però non riuscirò a spiegarmi bene ) ho avuto diverse delusioni in ambito affettivo e anche con lo studio andava tutto malissimo...ero iscritta a veterinaria da parecchio, e cominciavo a credere di non azzeccarci niente con i veterinari, io. Mi era piovuta addosso direttamente quell'ondata di crudeltà nascosta dietro agli allevamenti, non solo quelli degli animali da carne, ed ero stata travolta completamente dall'indifferenza totale non solo dei professori, ma anche dei miei compagni, quelli che un tempo credevo amassero gli animali, quelli che un tempo gli animali li amavano veramente...come ho già detto, non sono diventata né vegetariana né vegana (è difficile per me spiegare perché, doveva essere la cosa più sensata...vegana, più che vegetariana...ma non è andata così, non c'era niente di sensato in quel periodo, che ricordo fortunatamente solo come un brutto incubo...mi sentivo in colpa anche per le piante, che vivono e soffrono,nel senso...io amo gli animali, ma come faccio a decidere che la vita di un animale è più importante di quella di una pianta ? Chi sono, io, per deciderlo? Ma mi sentivo in colpa anche per gli esseri umani, per tutti...mi dicevo che stavo esistendo a discapito di molti altri, tutti migliori di me...e maledicevo quel Dio che aveva creato la legge secondo la quale dobbiamo tutti, per forza, ammazzarci a vicenda per vivere... ) quindi il disagio che io provavo nei confronti di quella realtà a dir poco assurda non era riconducibile solo ai sensi di colpa riguardanti il cibo, che finalmente sapevo da dove proveniva...c'era anche qualcos'altro infatti...no, per fortuna non ho mai pensato al suicidio, io... forse solo per vigliaccheria. Volevo sparire, però, volevo non esistere più, e mi stavo dirigendo a grandi passi verso una delle più comuni malattie riguardanti, appunto, il cibo. Solo che io non facevo il conto delle calorie...ma il conto delle crudeltà inferte agli animali e alle piante, e un uovo , un bicchiere di latte, una fetta di carne o anche solo un'arancia per me significavano tutti una lunga catena di porcherie, che avrei sinceramente preferito non conoscere, e che si celavano dietro anche ad alimenti che non erano affatto carne...è per questo che non sono diventata vegana...l'essere solo vegetariana ai miei occhi appariva come un controsenso, significava rinnegare la metà delle crudeltà che ho visto inferte ad animali, mentre l'essere vegana poteva essere la soluzione, non tanto per dirmi che non avrei ucciso nessuno per vivere: sarebbe stata una bugia, le piante vivono...ma quanto per il boicottaggio di tutte le sofferenze inferte agli animali, tutte, in blocco, da questa società del cavolo basata sul commercio, ho pensato di diventarlo.

Ma non riuscivo a mettere animali e vegetali su piani diversi... tutto era uguale per me, tutto dall'uomo veniva e l'uomo portava solo sofferenza e morti atroci, sia ad animali che a vegetali, e anche ai suoi simili sfruttati sempre per il commercio...ben presto non fu solo il cibo, il problema, ma tutto ciò che usavo, che consumavo, tutto ciò che mi circondava...dietro a tutte queste cose c'era una lunga catena di atrocità, e ormai lo sapevo e ne ero complice. Ma i sensi di colpa per il cibo erano fortissimi, e non volevo mangiare niente, ma poi prendevo e mi abbuffavo di dolci come un'idiota. Nonostante i sensi di colpa mi assalissero ancora più violentemente dopo le abbuffate e mi costringessero sempre più spesso ad eliminare quel cibo perché mi facevo troppo schifo, ho messo su quindici chili in più in soli sei mesi e già non ero un figurino...inoltre cominciavo a soffrire di emicranie assurde, e io nella vita sono sempre stata maledettamente sana..."quando il mio angelo sarà con me...sarò tutto finito", pensavo. No, purtroppo per me e soprattutto per lui non è andata così.

Ho passato interamente in bagno la notte che doveva precedere il giorno più bello della mia vita...vidi l'alba dalla finestra, quella mattina, era bellissima...e io mi odiavo per avere rovinato impunemente a quella maniera quel giorno meraviglioso...

I primi giorni dopo l'adozione sono stati orrendi...Akela voleva scappare, gli leggevo il panico negli occhi dal momento in cui aveva capito che questa volta non sarebbe tornato al suo branco. Inoltre, si è rifiutato di mangiare qualunque cosa nell'arco di quella prima settimana. I miei genitori non aiutarono affatto, anzi sono stata molto contenta di avere avuto l'accortezza di intestare quel cane a me...ma più il tempo passava più mi chiedevo se non gli stavo facendo del male invece che aiutarlo...aveva cominciato anche a fare incubi...accarezzarlo mentre dormiva era peggio...ma ho imparato presto che bastava parlargli dolcemente, e l'incubo se ne andava...poi, dopo circa una settimana, è scattata una molla: Aki stava benissimo a casa mia. Si era semplicemente adattato, poveretto...aveva usato quella che ho definito come la migliore delle sue qualità, la capacità di adattamento. E si era adattato a fare parte di un branco di esseri umani. Veramente io volevo tanto una compagna per lui ... ma mia madre non è assolutamente stata d'accordo...

Dunque, Akela era con me e si era adattato in qualche modo a vivere con noi...in quel momento ogni tanto mi riprendevano le crisi...l'ho detto, non c'era niente di razionale in quel genere di cose... ma qualcosa era cambiato. Adesso non ero sola. Io non lo volevo far soffrire...non lui, che aveva già sofferto tanto...funzionava così: quando non mi alzavo dal letto, lui saliva ai piedi del letto e mi guardava preoccupato. In casa mia per lui è vietatissimissimo salire sul letto, o anche solo entrare in camera da letto, perché nella Bibbia Della Medicina Secondo Mia Mamma c'è scritto che"gli animali portano un sacco di malattie". Bhè, quando io stavo a letto e non mi alzavo lui era lì. Non c'era porta che non aprisse, non c'era genitore che lo spaventasse e lo riconducesse al suo posto da cane, non c'era bocconcino prelibato che lo facesse allontanare da me. Lui capiva che io stavo male. E mi guardava. Come si può dimenticare quello sguardo? Si tratta del ricordo più bello che ho di quel periodo. Akela si era accorto che non stavo bene. Mi sembrava perfino che parlasse

"Che c'è? Stai male? Non preoccuparti. Sono qui, io non ti lascio.

Piangi? Ecco, questa è la mia pelliccia. Non ti lascio.

Sei triste? Presto passerà. Nel frattempo non ti lascio. Ricordati che sto con te "

Se mi alzavo per andare in bagno, lui mi girava intorno, contento.

"Stai bene? Visto che stai bene? Andiamo in giro? Mangiamo qualcosa?"

Se in bagno ci stavo "troppo" lo sentivo piangere, leggermente, sussurrando, da fuori dalla porta. E mi sentivo un verme.

Se tornavo a letto, poco male. "Stai ancora male eh? Non preoccuparti...sono qui! "

Bhè...sfido chiunque a non rimettersi in piedi, a non guarire completamente, a continuare a desiderare di non esistere quando vedi che un animale del genere desidera ardentemente che tu viva. Akela ha fatto per me ciò che era più naturale: mi è stato vicino. Non riesco ancora a descrivere quanto è stata importante per me questa cosa... piango ancora, se ci ripenso. Il mio Principe mi ha fatto guarire, proprio lui che l'inferno lo ha visto molto più da vicino rispetto a me, proprio lui che ha tutt'oggi un rapporto col cibo più problematico del mio...oddio, che vergogna... e io adesso sto bene, a distanza di una anno e mezzo posso dirlo: sto bene. Se non fosse stato per lui, quando e come mi sarei rialzata? Non che ancora adesso il rapporto con le cose che studio e quelle che mangio sia un idillio...e quando sono sotto stress ripartono le emicranie. Ma c'è Akela ai piedi del letto ad aspettarmi, a dirmi che finchè c'è lui niente potrà farmi stare male davvero...

Aky è diventato la mia ombra. Mangia solo in mia presenza, anche se gli viene offerto qualcosa di molto buono. Vorrebbe seguirmi ovunque vado; se mi assento da casa lui si accuccia e non fa niente... non mangia, non beve, non dorme. Aspetta. Ansia da separazione, pare...tipiche, nei cani che sono vissuti tanto al canile...purtroppo ci posso fare ben poco, non riesco a portarlo ovunque...e al mio ritorno, all'inizio mi girava intorno, apparentemente felice. Spesso mi guardava da lontano, a volte si svegliava, scopriva che non ero più in stanza con lui e mi cercava...quando mi trovava sembrava felice. Sembrava che volesse dimostrarmi il suo affetto ma che non fosse sicuro di sapere come fare... da qualche parte, in "Zanna Bianca", c'è scritto che Zanna Bianca dopo avere conosciuto il suo ultimo padrone sembrava un innamorato che non sapeva come dichiararsi. Così sembrava, il mio Akela. Gli ho insegnato "zampa", una cavolata...ma lui ha capito che questa cosa mi faceva felice e non mancava mai di porgermi la zampa, lo fa ancora adesso, circa cinquanta volte al giorno...poi, il vero miracolo. Akela ha cominciato a scodinzolarmi. E a farmi le feste. Lo devo filmare, al canile non ci credono. Akela mi fa le feste come un cane normale...anche se per me è un lupo, sotto sotto da qualche parte, lui ha riscoperto di essere un cane davvero... "Eccolo, il cane che non da' affetto. eccolo, il cane apatico!!!"gli dico sempre, quando torno a casa...

L'altro ieri ha fatto una cosa che mi ha fatto quasi piangere dalla commozione: mi ha rubato un biscotto. Sembra una scemenza, eh? Ma lui ha sempre pensato che mangiare portasse inevitabilmente alle botte...rubare del cibo, poi, era una cosa che non si sarebbe mai permesso...non se non avesse avuto la certezza che nessuno gli avrebbe fatto del male. E' una prova di fiducia... al mille per cento, nei miei confronti!